Piero si improvvisa elettricista montando un portalampadina al Good Samaritan con un cacciavite di fortuna: un chiodo schiacciato in punta
Chissà cosa c'è di particolare nell'animo umano.
Quel qualcosa che spinge spesso chi ha di meno a condividere il poco che possiede. La generosità è qualcosa che fa sempre piacere riscontrare ma, indiscutibilmente, è molto più facile essere di buon cuore per chi ha molto più di quanto gli serve realmente: è più generosa la rockstar miliardaria che da occasionalmente in beneficenza la metà dei proventi di un concerto (magari centinaia di migliaia di euro), o il lavoratore che con uno stipendio di poco più di mille euro e una famiglia a carico ne versa ogni mese 20 in beneficenza, pensando che possono aiutare qualcuno più bisognoso di lui?
La mia esperienza nello slum di Soweto a Nairobi mi ha certamente arricchito molto: sono venuto a contatto con una realtà distante anni luce dalla nostra, dove le cose che per noi sono più banali e spesso sottovalutate diventano preziose.
Penso all'acqua, per esempio.
Immaginate cosa vuol dire non avere mai provato cosa sia quella piacevole pioggia di acqua tiepida sul nostro corpo che chiamiamo doccia. Oppure non avere un proprio spazio, per quanto piccolo, dove sistemare le proprie cose. O fare i compiti in ginocchio sul pavimento poggiando il quaderno su un letto in una stanza semibuia perchè non si possiede una scrivania, una sedia ed una lampada.
Quello che vi voglio raccontare è però un episodio avvenuto il giorno prima del nostro ritorno, in una fresca serata dell'agosto kenyano.
Essendo prossimi alla partenza, avevamo deciso di portare alcuni bambini dell'orfanotrofio a mangiare con noi in un ristorante del centro commerciale Greenspan, vicino all'orfanotrofio. Non potendo portarli tutti, avevamo raccomandato ai bambini di non parlare della cosa agli altri bambini per non suscitare gelosie.
Arrivati nel centro commerciale ci rendemmo conto che non c'era molta scelta in quanto i ristoranti stavano per chiudere, allora i bambini scelsero una specie di pizzeria fast food che era aperta ed ordinarono le loro pizze. Quando furono pronte i bambini notarono, con una punta di delusione, che esse erano più piccole di quanto si aspettassero ed, ovviamente, le divorarono con estrema voracità. Vedere con quanto gusto mangiassero quelle che a noi parevano normalissime ed anche mediocri pizze, era uno spettacolo. Nel giro di pochi minuti avevano spazzolato tutti l'intera pizza.
Tutti escluso Ben: lui aveva lasciato due fette di pizza che aveva riposto in un tovagliolo di carta.
"Cosa c'è, Ben", gli dissi io, "non ti è piaciuta la pizza?"
"Moltissimo", rispose.
"E allora, perchè non hai mangiato quelle due fette?", insistetti.
"Queste sono per il mio amico Dreslah", fu la riposta di Ben.
Io trattenni a stento la commozione, pensando a quanto per lui potesse essere rara e quindi preziosa quella pizza. Nonostante ciò, o forse proprio per quello, lui decise che anche l'amico doveva godere di quella delizia, non solo lui.
Il giorno dopo ripartimmo con uno stato d'animo agro-dolce: avevamo ricevuto una grande lezione di generosità da un bambino di un posto poverissimo, Soweto Nairobi; un bambino che non possiede nulla, neanche una famiglia.
Chissà cosa c'è di particolare nell'animo umano...
Piero Piasotti